sabato 8 giugno 2013

Il paradosso dell'imperatore



La tipologia del lettore kafkiano è un lettore in disarmo, poco lettore nostalgico (non esiste nella finzione il lettore nostalgico, che vuole tornare alla realtà, altrimenti non leggerebbe) catapultato nel mezzo di un frammento la cui caratteristica è la densità del contesto e la sua compattezza. Ogni appassionato di Kafka sa che deve mettere tra parentesi non solo la logica (gli animali parlano nelle favole, tuttavia noi decidiamo di credervi) ma anche ogni sua riduzione per assurdo (Gregor Samsa si risveglia un giorno trasformato in uno scarafaggio e l’esperienza non è affatto piacevole).

Il messaggio dell’imperatore è un piccolo racconto su di un misterioso sovrano, il quale, in punto di morte, affida ad un suddito un messaggio da consegnare al lettore. Il suddito, però, non arriverà mai a destinazione, perdendosi nel maestoso palazzo imperiale, poiché prima dovrà attraversare le stanze del palazzo più interno, poi le scale, quindi i cortili, infine un secondo palazzo e così via per millenni. 

Si tratta, a bene vedere, di una variazione del paradosso di Achille e la tartaruga formulato da Zenone, nel V secolo a.C. , in Grecia. Anche il paradosso greco ci colpisce per la compattezza del contesto che l’ascoltatore incauto non può mettere in discussione. In questo sfondo impenetrabile si afferma che Achille, conosciuto per la sua velocità, non potrà mai raggiungere una tartaruga che lo precede di qualche metro (in quale mondo Achille si trova a sfidare una tartaruga?). Quando Achille avrà percorso mezzo metro, la tartaruga si troverà più avanti di Achille di un quarto di metro; quando avrà attraversato quel quarto, la tartaruga si porterà avanti di un ottavo di metro e così via all'infinito, la distanza tra Achille e la lenta tartaruga pur riducendosi verso l'infinitamente piccolo non arriverà mai ad essere pari a zero. 

Il paradosso, lo sappiamo, venne superato con il concetto di limite e di calcolo infinitesimale secoli più tardi, quando si svilupperà l’idea che una somma di infiniti elementi può avere come suo risultato una serie finita. Ciò che sembrava interessare a Kafka e Zenone era questo concetto dell’infinito che entrambi fanno a pezzi, per cui l’infinito ad un certo punto può finitesimarsi, entrare nel nostro mondo di numeri interi e razionali. 

Più in là, nel mondo spirituale, quando questa idea viene concepita come l’irruzione del divino nell’umano si parla di speranza, quando è interpretata come il momento in cui l’irrazionale entra nel razionale la si definisce follia. 

Ad ogni buon conto, il potere teme sia la follia che la speranza, soprattutto quest’ultima, al punto da far affermare a Chomsky che ogni regime è interessato alla sua distruzione tanto quanto la libertà. Distruggere nell’individuo la speranza che le cose possano cambiare è la vittoria ultima di ogni dittatura. 

Senza la speranza, Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga né il messaggero dell’imperatore consegnarci le sue ultime parole. 

Resteremo convinti che l’infinitamente piccolo delle nostre azioni positive non potrà mai tradursi nella somma finita di una grande rivoluzione.

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