giovedì 20 giugno 2013

Elogio della virgola




In generale non riusciamo ad immaginare un mondo dove si possa non avere torto e non avere ragione, contemporaneamente, in una sorta di simultaneità logica. 

In Pragmatica della Comunicazione, titolo apparentemente difficile per un libro al contrario godibilissimo, lo psicologo Paul Watzlawick dimostra come il linguaggio non sia un atto "neutro" ma un'azione umana come tante altre che ha precise responsabilità sulla diffusione delle malattie mentali e di altre forme di nevrosi. 

Il libro diventa particolarmente interessante quando lo studioso afferma che in ogni forma di conversazione ciò che contrattiamo difficilmente sono gli argomenti, ma i ruoli. Chi comanda in casa, chi mantiene la famiglia, chi soffre, chi ama. 

A questi ruoli noi attribuiamo l’idea del falso e del vero, del torto e della ragione. Poiché i ruoli sono interscambiabili e non sempre vengono concordemente accettati, ne deriva che tanti dei nostri litigi quando parliamo non attengono più il contenuto della conversazione che finiamo con il perdere di vista, fino ad annullarlo, ma la forma, cioè il diritto di  pronunciare l’ultima parola, l’onere di definire il punto. Punto e basta, non a capo. 

Sul punto si potrebbero scrivere innumerevoli trattati che argomentano della sua natura, non ultima la sua inconoscibilità e tendenza a sfuggire in geometria, dove viene considerato, almeno nel mondo euclideo, un concetto primitivo, cioè non definibile. Ha una posizione, ma potrebbe non avere una dimensione, non ha grandezze, ma possiede linee. 

E’ la sua assenza di volume e di parti che mettiamo determina l’infinita lotta tra Montecchi e Capuleti, di solito risolta con l’adimensionalità di quel punto che è la morte. 

Devo ammetterlo, mi è capitato difficilmente in questi ultimi mesi di parlare in maniera scevra di politica con molti amici ed amiche davvero interessati a conoscere le mie idee, piuttosto che dedicarmi alla contrattazione dei ruoli, che in questo caso erano: chi capisce di politica, chi è fascista, chi vuole cambiare le cose, chi le vuole distruggere. Di scambio di argomenti, realmente pochi. Pur non volendo, alla fine anche io mi sono trovata a decidere tra Antonio e Bruto. Altra storia quella di Cesare 

Quanto a Watzlawick, egli porta all’estremo il suo assioma affermando che non esistono conversazioni in cui si esca dai ruoli, ruoli che esisteranno sempre e che ridotti all’essenza sono quelli dell’up, chi è superiore, e del down, chi è inferiore. 

Dunque, non esiste il vero dialogo? Nelle sue ricerche da terapeuta, egli conclude che il dialogo, l’unico possibile, si realizza solo quando ci si scambia in un tempo breve, quello di una conversazione, di continuo le posizioni di “ up” e “ down”, scambio che rende le relazioni sane e feconde. 

Se Watzlawick però conclude che il dialogo è l’interscambio continuo dei ruoli, se ne può dedurre che il fine di una conversazione non è avere ragione o avere torto, perché il torto e la ragione, semplicemente, non esistono. Esistono il caldo, il freddo, la fame e la sete. In ultima analisi, ciò che mi fa star bene e ciò che mi fa star male. 

Lo scopo di un vero dialogo è costruire una relazione, una democrazia, una forma di convivere civile. Insomma, una virgola. O degli esclamativi, delle parentesi se volete, la variante della punteggiatura non solo è infinita, ma si sposta continuamente. 

Saramago, che ha compreso questa dinamica, costruisce narrazioni senza punteggiatura dove il lettore è chiamato a costruire direttamente un testo in collaborazione con l’autore, portando all’estrema sintesi ciò che accade in ogni opera. Un sistema che permette a tutti gli interlocutori l’avere non torto e non ragione contemporaneamente, nel regno della bellezza e della simultaneità.

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