venerdì 30 agosto 2013

La tasca tascabile




La sottile linea rossa tra lecito ed illecito, tra reato e cultura, è terreno fertile dove nasce una fauna incontaminata. E’ una frontiera attraversata da trafficanti di droga, evasori fiscali, fuggitivi d’ogni risma che spesso viaggiano indisturbati. Su questi labili confini si collocano anche opere osannate come la misoginia della Bisbetica domata o l’antisemitismo del Mercante di Venezia. Di frequente arriva là dove meno te l’aspetti, dentro l’ordine costituito. In quella forma di letteratura che sono i testi legislativi, dove la legge si apre all’antilegge rivelando una natura curvilinea più che retta, da intendersi non solo moralmente. 

Non parlo di leggi luciferine come la Bossi-Fini o come la riforma scolastica targata Gelmini. Nel senso che esse sono perfettamente logiche nella loro inumana irrazionalità, ma di leggi nate dagli intenti più operosi. 

Paolo Berdini, nel suo bel libro “ Breve storia dell’abuso edilizio”, parte dall’osservazione che l’abusivismo in Italia è stato possibile non solo grazie ai vari condoni e sanatorie, ma a causa anche di una serie di leggi in cui si proclamava il divieto di fare qualcosa e contemporaneamente si lasciava aperta la strada per aggirare la legge con il consenso dell’autorità. Come nel caso delle piscine “ amovibili” della Sicilia, episodio seriamente pirandelliano. 

Nel gennaio del 2002, in Sicilia, la giunta regionale guidata da Cuffaro approva una legge dal titolo più che nobile “ Norme per il riordino delle coste siciliane”. Si tratta di una sanatoria con cui si consente il condono di edifici costruiti entro 150 metri dalla costa, anche se si afferma sarà vietato “ d’ora in poi”. A questo punto, però, la legge non può fare a meno di varcare la solita frontiera del legittimo, già che in un successivo articolo essa consente la realizzazione entro gli stessi metri di “ attrezzature e servizi necessari alla fruizione del mare” come, appunto, alberghi, piccoli ristoranti, bar e piscine, definiti dall’assessore Bartolo Pellegrino, intervistato dal crudele, ma non solito, giornalista di turno, in una sorta di linguaggio cubista, “ strutture amovibili”. 

Non inamovibili o mobili, si badi. Amovibili, per loro natura al di là di ogni meccanica e moto più o meno perpetuo. 

Una categoria metafisica priva di gravità. 

Come a dire che l’illecito ha i suoi fiori rari, una sua vegetazione poetica e nomenclature botaniche riconoscibili a distanza, come l’agibilità politica, che lascia intendere un salire e scendere politico per le altrui scale, un traversare politico, un muoversi, viaggiare, tornare e ripartire politico, e poi un sedersi, alzarsi, scostarsi e persino abbracciarsi politico che sono “ altro” dai movimenti simili dei comuni umani. 

E che tuttavia sorprende nella sua suprema vacuità, come proclamare la tasca tascabile, la scala salibile e il capitare capitabile. L’ultima frontiera della pubblicità applicata in politica, l’avamposto della nientità linguistica.

martedì 27 agosto 2013

venerdì 9 agosto 2013

Il corpo isterico



Girovagando, sperduti e attenti nel mare internautico, come il protagonista di Itaca della poesia di Kavafis, vi imbatterete forse tra le fotografie di Augustine, una delle isteriche più famose della Salpêtrière, internata nell’ospedale femminile di Parigi nel 1875 e diretto allora dal neurologo Jean-Martin Charcot. 

Augustine venne fotografata ed esposta alla camera oscura dal dottore, le pieghe del vestito ben curate con un vezzo da modella, in pose laccate dal dubbio realismo che dovrebbero mettere in risalto il prototipo della donna isterica, la grande simulatrice, la teatrante istrionica, la clownesca follia incarnata da moltissime donne, che ha trovato in testi letterari e artistici, non ultimo il ciclo Hysteria della scultrice Louise Bourgeois, la sua sovraesposizione estetica. 

L’isteria è questione difficile. Dal 2000 essa non esiste più come disturbo clinico nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) essendo stata scomposta in manifestazioni differenti, suddivisa in vari sintomi. Questo non vuol dire che sia cessata la sua esistenza, ma piuttosto, come sostiene lo stesso DSM, che il sintomo isterico si modella adattandosi ad ogni cultura, continuando il suo processo mimetico al mutare dei paradigmi medici e delle richieste sociali. 

In altre parole la sua natura si caratterizza per una dinamica innata in grado di identificarsi con le aspettative dei medici. Il sintomo isterico abile nel suo mimetismo, proteiforme nella sua condotta, innatamente teatrale, cerca il sintomo patologico maggiormente accettato in una determinata epoca e in uno specifico contesto sociale, cercando di adattarsi alle teorie cliniche dello scienziato perché possa essere ascoltato e curato. 

Il corpo isterico, dunque, denuncia come uno specchio capovolto i modelli che lo scienziato, l’analista, il neurologo, lo psicologo hanno cercato di volta in volta di imporre alla donna. In epoche trascorse, quando ci si aspettava sottomissione e ubbidienza dalle donne, non erano rari i casi di paralisi isterica, quando la sessualità era argomento proibito per le donne né rientrava nella loro educazione, molte manifestazioni isteriche tese al controllo delle pulsioni sessuali furono celebrate come manifestazioni di santità, vedi Caterina da Siena. Oggi, epoca nella quale gli ideali di bellezza e il feticismo della magrezza imperano nell’educazione delle ragazze, si associa con l’anoressia, la bulimia e altri disturbi alimentari. 

Il corpo isterico differisce in parte dal corpo cyborg di cui parla la filosofa Haraway, i corpi in cui natura e tecnologia si innestano, con una estensione che va dai bypass al semplice uso dell’ascensore, mettendo in crisi la pretesa naturalità dell’uomo, che è al contrario, secondo la pensatrice, pura costruzione culturale. Al contempo è qualcosa di diverso dai corpi-clinica, cioè dai corpi mantenuti nella fase della stasi della malattia perché fonte di reddito certo per il mercato farmaceutico, ma anche dai corpi-laboratorio (mi viene in mente il protagonista del film documentario Super size me in cui si esplorano le conseguenze dell’alimentazione McDonald’s sul corpo di un volontario). 

L'isteria sembra piuttosto denunciare il lato oscuro delle scienze, la loro natura performativa quando più portatrici dei pregiudizi di un sistema sociale. 

E’ come se la scienza, in quanto tassonomia, elenco delle caratteristiche delle più diverse infermità, finisse con l’aspettarsi quelle manifestazioni e non altre che il sintomo isterico è disposto a non eludere, proprio perché solo in questo modo può essere visto, toccato e riconosciuto. Un elemento che ha spinto la psicologa argentina Dio Bleichmar a parlare di “ femminismo spontaneo” dell'isteria, in quanto la natura femminile soffrirebbe per il mancato riconoscimento del suo genere, in un ordine patriarcale che lo considera inferiore, un oggetto. L’isteria sarebbe così solo un modo per ottenere riconoscimento. Una sorta di protesta, tramite un uso del corpo che si fa linguaggio, dramma, infine palcoscenico. 

Le foto di Augustine dunque lasciano un’impressione indefinibile. Più di un dubbio, trasmettono l’inquietudine che il corpo isterico sia forse una delle denunce più dolorose di una società portatrice di istanze di schiavitù e assoggettamento che si trasformano in malattie, quindi in gerarchie mediche destinate a curare le malattie che lo stesso sistema ha prodotto, ma senza mai proporsi di guarirle del tutto. 

In un cerchio infernale, dove le scienze non sono angeliche ma nate all’interno di sistemi sociali non sempre favorevoli alle donne, che l’arco isterico esprime come uno stigma.




domenica 4 agosto 2013

Street food art


Se andate a Londra, non perdetevi una visita a Camden Town, un vero museo all’aperto di Street food art, ma lo stesso può dirsi della Vucciria a Palermo o di certi mercati rionali in Andalusia.
 



La street food art, il cui punto di partenza è lo stile dell'alimentazione lungo la strada, sottolinea l'idea che la cucina è un centro sociale, un luogo di innovazione, ma anche un modo di vivere gli spazi pubblici.



Alcune sue caratteristiche sono la globalizzazione e l’improvvisazione che si oppongono alla produzione industriale in serie.



Può includere una barca vietnamita adibita al mercato, carica di bibite e verdura fresca, un carrettino per il tè sudanese costituito da pneumatici riciclati e lattine, o il chiosco di salumi provenienti dall’Argentina.




A differenza di ciò che si può credere, lo credono i palati mediterranei così scettici verso tutto ciò che non sia un tavolo e un pranzo della durata di due ore, lo street food art è una critica al junk food (cibo spazzatura) a favore di un’esperienza sensoriale che includa il gusto, l’olfatto, lo scenario estetico del pranzo o la cena veloci. La sua idea è più vicina a quella del fair food, il cibo giusto, che esalta la diversità, la sostenibilità, l’equità del prezzo per fasce sociali a basso reddito.



La cucina all’aperto tende ad evidenziare come l’arte sia una forma di cibo, realizzando fusioni bizzarre e creative con la street art, l’arte dei graffiti e dei murales.



Tra i suoi oggetti feticcio, i furgoncini di burritos messicani o il baracchino di frullati e caffè, come questo nelle vicinanze del Metropolitan Museum of Art di New York.  




Ma anche i tavoli, i lampioni, i coperchi dei contenitori per la spazzatura o le insegne vivaci e di una certa ingenuità: