sabato 14 febbraio 2015

Parole litigate

 
 
Mi sveglio tardi, tra parole litigate. Uno di quei giorni che si va a caccia di libri come di antiche mappe o rarissime farfalle. In cui mi sento sorella della donna che sfoglia il suo romanzo sentimentale o del signore, aria arcigna, con il naso affondato in un glossario sui tartufi. Tutti fratelli in questo talentuoso mare, girando angoli assorti e silenziosi.
E così tra letture più more che cristiane, in questa piccola libreria di provincia che ha dovuto camuffarsi da cartoleria per resistere alle intemperie di mode e mercati, prendo atto di un non ben precisato rapporto alle autorità del capitano Lawrence sul disordine delle truppe inglesi in Mesopotamia, scarto uno scrittore francese sulla porta di un locale blues, non riesco a resistere ad una pessima edizione della BUR di Conversazione in Sicilia di Vittorini: inchiostro grosso su carta ordinaria. Tutte le parole, in fondo, sono vuote e piene.
Così girando, rigirando mi consegno senza difese alla polvere di vecchi libri accumulati che mi lasciano le dita sporche, come certa manovalanza, di ritorno a casa, supera la soglia con la calce tra le scarpe dopo un giorno di fatica.
Ho ripreso da poco la mia passione per la lettura, ma ci vado piano. Come certi malati ancora  in convalescenza si limitano ad assaggiare a piccoli sorsi le loro minestrine. Ho attraversato un lungo periodo, quasi ventennale, in cui non riuscivo mai a completare un libro. Inevitabilmente affondavo ai primi capitoli.  Non so che ne sia del giovane Holden, mettiamo, lasciato a metà mentre si recava a scuola. Più volte ho cercato di attraversare le foreste di Vargas LLosa e come sempre sono ritornata indietro.
Ma dicevo, a piccoli sorsi. Per lo più trattatelli, saggi minuscoli, brevi racconti. Sono loro che mi hanno aiutato in questa lunga astinenza ventennale a mantenere la mia parentela con le letture. Come dimenticare Il Messicano di Jack London, Il Caso de La Barre di Voltaire, Utz del raffinato Chatwin o certi racconti notturni di Hawthorne? Una delizia in questo lungo, lunghissimo digiuno. E così, mentre accarezzo le pagine di un libretto di Emilio De Marchi, “ Quel maledetto coltello”, esattamente 43 pagine, di cui dieci di introduzione che ho deciso in tutta coscienza di scartare, è più forte di me, ad un certo punto, sollevando il naso, mi ricordo del pettirosso che viene a nascondersi ogni mattina tra i rami del cespuglio proprio di fronte la mia presidenza.
E’ quella macchia sul suo petto, tra arancione e rosso, che non so decifrare.