Mi sveglio tardi, tra parole
litigate. Uno di quei giorni che si va a caccia di libri come di antiche mappe
o rarissime farfalle. In cui mi sento sorella della donna che sfoglia il suo
romanzo sentimentale o del signore, aria arcigna, con il naso affondato in un
glossario sui tartufi. Tutti fratelli in questo talentuoso mare, girando angoli
assorti e silenziosi.
E così tra letture più more che cristiane, in questa
piccola libreria di provincia che ha dovuto camuffarsi da cartoleria per
resistere alle intemperie di mode e mercati, prendo atto di un non ben
precisato rapporto alle autorità del capitano Lawrence sul disordine delle
truppe inglesi in Mesopotamia, scarto uno scrittore francese sulla porta di un
locale blues, non riesco a resistere ad una pessima edizione della BUR di
Conversazione in Sicilia di Vittorini: inchiostro grosso su carta ordinaria. Tutte
le parole, in fondo, sono vuote e piene.
Così girando, rigirando mi consegno
senza difese alla polvere di vecchi libri accumulati che mi lasciano le dita
sporche, come certa manovalanza, di ritorno a casa, supera la soglia con la
calce tra le scarpe dopo un giorno di fatica.
Ho ripreso da poco la
mia passione per la lettura, ma ci vado piano. Come certi malati ancora in convalescenza si limitano ad assaggiare a
piccoli sorsi le loro minestrine. Ho attraversato un lungo periodo, quasi
ventennale, in cui non riuscivo mai a completare un libro. Inevitabilmente
affondavo ai primi capitoli. Non so che
ne sia del giovane Holden, mettiamo, lasciato a metà mentre si recava a scuola.
Più volte ho cercato di attraversare le foreste di Vargas LLosa e come sempre
sono ritornata indietro.
Ma dicevo, a piccoli sorsi. Per lo più trattatelli, saggi
minuscoli, brevi racconti. Sono loro che mi hanno aiutato in questa lunga
astinenza ventennale a mantenere la mia parentela con le letture. Come dimenticare
Il Messicano di Jack London, Il Caso de La Barre di Voltaire, Utz del raffinato
Chatwin o certi racconti notturni di Hawthorne? Una delizia in questo lungo,
lunghissimo digiuno. E così, mentre accarezzo le pagine di un libretto di
Emilio De Marchi, “ Quel maledetto coltello”, esattamente 43 pagine, di cui
dieci di introduzione che ho deciso in tutta coscienza di scartare, è più forte
di me, ad un certo punto, sollevando il naso, mi ricordo del pettirosso che
viene a nascondersi ogni mattina tra i rami del cespuglio proprio di fronte la mia
presidenza.
E’ quella macchia sul suo petto, tra arancione e rosso, che non so decifrare.