martedì 4 giugno 2013

Il fascismo è un'allucinazione


In quella zona mitica in cui la letteratura incontra se stessa, ragiona di sé e crea un simbolo del simbolo in un viaggio infinito, si narra di Don Miguel de Cervantes e di un suo incontro, nell’anticamera di un ufficio impiegatizio della Corona di Spagna, con i discendenti del nobile Quesada, decisi a rivendicare un titolo onorifico che gli sbigottiti funzionari spagnoli continuavano testardamente a negare.

Gonzalo Jiménez de Quesada era stato uno dei primi conquistatori alla ricerca dell’Eldorado, leggendaria terra di ricchezze, che continuò a cercare per tutta la vita in modo entusiastico, percorrendo gran parte dell’America conosciuta, finché ottantenne, incapace di ammettere il fallimento della sua avventura, pretese di lasciare agli eredi il risibile titolo di “ governatore del Dorado ’’. 

La storia narra che fu proprio Quesada ad avere ispirato a Don Miguel la figura del Don Quijote e chissà soprattutto quella scena del libro, quando l’hidalgo, incontrando la vera Dulcinea, una pelosa e sgraziata contadina, scopre che la sua amata puzza di cipolla. Cosa fa allora Don Quijote pur di non ammettere la realtà? Dichiara che una strega ha fatto un incantesimo alla sua bella trasformandola in una orchessa.

La ragione è chiara. Don Quijote non può ammettere che Dulcinea è una banale, persino brutta, rivoltante popolana, perché ne andrebbe della sua identità. Sarebbe come ammettere che Don Quijote non esiste, perché ciò che crediamo ci definisce.

Chissà Don Cervantes, in quell’anticamera reale, sia rimasto sbigottito non tanto dalla riluttanza di Quesada ad ammettere la propria follia quanto dall’incapacità di arrendersi al reale che il conquistatore folle era riuscito a trasmettere ai suoi discendenti. 

La risata di Cervantes, così ampia e spassionata tra le pagine del libro, è stata per lo più interpretata come una sorta di sodalizio nei confronti di un sognatore senza tregua, Don Chisciotte, a cui vanno le sue simpatie. Tuttavia nel Quijote appare qua e là un’idea inquietante che fa capolino tra le avventure rocambolesche dell’hidalgo, che cioè un sognatore, nella misura in cui nega un mondo per affermare se stesso, non sia tanto un’idealista, bensì un egoista della razza peggiore, uno che obbliga la realtà a piegarsi alle proprie follie come se tra sogno e sognatore non ci fosse nulla, neanche quell’umanità di miserie e cinismo contro cui puntualmente si infrange la sua immaginazione. 

Don Chisciotte è una ridondanza di se stesso che è la qualità peggiore del sognatore. I libri lo hanno trasformato in una tautologia, destinato sempre e soltanto a confermare se stesso, proprio come certi regimi che impongono l’assolutismo dei loro miti e dei loro eroi. Al fascismo, infatti,non importa l’equilibrio tra la realtà e la sua interpretazione, un equilibrio che si modifica e si rinnova nel dominio della democrazia che è una scienza. 

La dittatura, prima ancora che un regime, è un comune delirio, nella sua forma più sociale un’allucinazione perversa

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