Una disanima attenta del DDL
sulla Buona scuola richiederebbe una riflessione che supera lo spazio di poche
parole. Vediamo innanzitutto a cosa avrebbe dovuto servire il DDL nell’intenzione del legislatore. A definire ulteriormente
poteri e funzioni degli Organi della scuola: il Consiglio di Istituto, il
Collegio Docenti, il Dirigente. A definire, insomma, quella parte lasciata incompleta
dalle precedente architettura normativa, si ricordi la la Legge sull’Autonomia,
il DPR 275/99, un vulnus che le
successive leggi, prima fra tutte la Riforma Brunetta, hanno tentato di
ricondurre ad un quadro legislativo più preciso.
Attualmente, nel sistema
giuridico e normativo della scuola italiana, tali organi hanno pari dignità e
possiedono un compito ed una funzione che li caratterizza. Il Consiglio di
Istituto è organo di governo e delinea l’indirizzo politico della scuola, il
Collegio Docenti è organo competente nell’ambito didattico e pedagogico, il
Dirigente è organo competente nell’area gestionale ed organizzativa.
Naturalmente esistono zone grigie nella pratica quotidiana di tali competenze
che avrebbero dovuto essere approfondite e chiarite. Può accadere così che il
Collegio dei Docenti pretenda di disciplinare aspetti che sono di competenza
del Consiglio di Istituto o che quest’ultimo rivendichi per sé poteri e
funzioni che spettano invece ad un Dirigente. Ma ciò, si potrebbe dire, accade
nelle migliori democrazie.
Il punto che dobbiamo tenere fermo è proprio questo.
La scuola è un luogo da praticare, infatti ogni studente sa che ciò che impara
non dipende solo dalle parole che ascolta durante una lezione, ma anche da ciò
che vede nell’ambiente in cui cresce e si educa. Pretendere di insegnare i
principi democratici e costituzionali in un luogo che frammenta o abolisce il
dialogo democratico è una contraddizione in termini.
Ritornando ai nostri organi scolastici,
restava da definire un ultimo potere: la competenza valutativa. Chi giudica chi
e che cosa. L’araba fenice della scuola italiana. Questo aspetto merita
un’attenta riflessione nell’ottica del “luogo che si pratica”. Pretendere che i
propri alunni vengano misurati, valutati, giudicati spesso con un carico di
verifiche che li estenua e pretendere a nostra volta di non essere valutati
come docenti o dirigenti, adducendo il pretesto che l’insegnamento sfugge ad
ogni valutazione oggettiva, non solo è una contraddizione in termini, ma è
anche demagogico.
Io temo sia stato questo ostinato rifiuto alla valutazione
che ci ha portato al mito del “preside padrone”. La regola vuole, infatti, che
sia sempre il sonno della ragione a generare mostri. Ora dobbiamo chiederci: è
davvero impossibile valutare un’attività squisitamente umana, educativa e
intellettuale come l’insegnamento? Su questo punto si sono confrontati per
decenni filosofi, pensatori, maestri e politici di tutto il mondo.
Ragionevolmente,
la risposta che è stata data da questi studiosi è quella della valutazione
diversificata e partecipata. In altre parole, quando si giudicano aspetti umani
come ad esempio il grado di capacità critica di un alunno, la risposta non è
astenersi dal giudizio, ma assicurare la pluralità dei soggetti giudicanti e
degli aspetti oggetto di valutazione. Così come accade in un Consiglio di
Classe o in una commissione di esame. E’ chiaro che la mia idea di capacità
critica sarà diversa da quella che possiede un’altra persona. Così come la mia idea di collaborazione,
maturità o riflessione. Se il giudizio dipendesse da una sola persona, esso
sarebbe proprio un giudizio, non più una valutazione. E’ la pluralità ad assicurare invece l’equilibrio. In altre
parole, la risposta che ci è stata data da questi studiosi è che la valutazione
non può che essere implicitamente “ democratica”. Pretendere che sia unicamente
un dirigente a valutare un buon docente è altrettanto demagogico quanto
pretendere di non valutarlo.
La pluralità nella valutazione è pratica comune in
altri sistemi scolastici europei. In Francia gli ispettori entrano nelle classi
dei docenti per lunghi periodi, a volte un anno, osservando come insegna,
raccogliendo le valutazioni degli studenti, delle famiglie, dei colleghi,
analizzando il suo curriculum e la sua formazione. In alcuni sistemi
scolastici, come quello inglese per esempio, si è voluto dare un’ulteriore
garanzia al potere valutativo, che va difeso proprio come quello politico,
amministrativo e gestionale. Il compito della valutazione è affidato infatti ad
agenzie esterne che non dipendono dal Ministero della Pubblica Istruzione, ma
riferiscono direttamente in Parlamento. Questo perché pure il Ministro
dell’Istruzione, in ultima analisi, deve essere sottoposto a valutazione. E qui
c’è poco da discutere: è solo attraverso la valutazione che un sistema si
migliora e si corregge.
Ritornando al DDL io credo che la situazione sia ancora
molto fluida, bisognerà vedere quale sarà il suo aspetto definitivo. Ci sono
molte deleghe affidate al Governo che dovranno approfondire numerosi aspetti.
Nella sua forma attuale, tuttavia, rischia di rappresentare un passo verso la
tautologia più che verso la confusione. Qualcosa di peggio che il conflitto di
interessi. Un Collegio di Docenti, composto da insegnanti assunti da un
dirigente, che delibera sull’organico, cioè se tagliare il proprio posto di
lavoro o no, che grado di libertà, di
serenità e di giudizio potrà avere? Viceversa, in che misura un Dirigente può
essere valutato per l’operato di docenti di ruolo che non ha mai assunto?
La
mia opinione è che la società civile fa bene ad avere protestato contro la
filosofia del “ decisionismo” incarnato da un uomo solo o donna sola al potere.
Dovremmo prestare attenzione alle sirene di turno, agitate nella tempesta
dell’urgenza, della necessità di risolvere il problema del precariato, dei
tagli necessari ai diritti sociali e civili. Eppure, bisognerebbe essere anche
consapevoli che un sistema democratico ha come sua essenza la possibilità di
essere valutato e giudicato, altrimenti è dittatura di casta o dittatura di
tagliatori di teste.