sabato 5 ottobre 2013

Il poeta dalla testa grossa





C’era un poeta che viveva in una casa nelle campagne di San Vicente, un gelsomino bianco e uno azzurro stavano a guardia della sua porta. Lo chiamavano il poeta dalla testa grossa. Rafael Rodrìguez Rapùn era il suo amante. Dopo che uccisero il poeta, Rafael si arruolò tra le fila dei repubblicani. Lo mandarono in Cantabria. Durante un attacco aereo non cercò riparo come i suoi compagni, lasciò che lo colpissero. Gli spararono alle spalle e alla regione lombare, morì nell’ospedale militare di Santander, esattamente un anno dopo la morte del poeta dalla testa grossa. Aveva 25 anni. 

Giusto un anno prima, né un giorno più né un giorno meno, erano arrivati i militari a prendersi il poeta che era stato denunciato come repubblicano, comunista e omosessuale. Non sappiamo in che ordine andarono queste parole né chi le mise in fila. Uno degli assassini si chiamava Juan Luis Trescastro. Dopo che gli spararono, Juan Luis irruppe nel bar, dove erano soliti riunirsi gli amici del poeta, dichiarando a gran voce di avergli messo “ due pallottole nel culo” perché omosessuale. 

Non si sa molto dei resti del poeta. Governi di destra e governi di sinistra hanno cercato di dimenticare gli anni della guerra civile che divise il paese, accomunando vittime e carnefici, calando una pietra tombale sui caduti e sui familiari che cercano ancora i loro corpi. 

Del resto, poco si sa pure della tomba di Trescastro. I suoi familiari non osarono ricordarlo qualche anno dopo, quando morì, con una lapide commemorativa come colui che aveva ucciso il poeta. Nella confusione del momento, dimenticarono anche la targhetta in cui iscrivere il suo nome.

La vita, però, ha una sua giustizia irriverente verso le faccende umane. Del finto dolersi dei politici che non hanno mai cercato seriamente i resti del poeta, sa farsi beffe. Non c’è dubbio: la storia possiede una grande serietà per ridere di certe cose. Nel caso del nostro poeta i documenti mormorano che egli fu ucciso in una zona di Granada conosciuta come la Fonte della Lacrima. La sorgente, il cui vero nome è Alfacar, è nota nel paese perché i sovrani arabi della dinastia Ziri, fin dall’XI secolo, l’avevano utilizzata per costruire un sistema di canali che alimentasse la sete perenne delle contrade. La fonte, fin da allora, è stata uno dei luoghi più celebrati dagli scrittori cristiani, ebrei e musulmani. Gli assassini del poeta che lì lo condussero forse erano poco edotti sulla faccenda. In generale, li ricorderemo come avvelenatori di pozzi e di sorgenti. Oltre che come assassini di poeti. Così sembra che le parole più appropriate e profetiche su questa triste storia le abbia dette giusto Neruda nella sua visita in Spagna. “ La Spagna non ha fiumi” --- scrisse in quell’occasione--- tutto ciò che ha al posto dell’acqua sono i poeti”. 

Frase che potrebbe suonare paradossale, soprattutto alle orecchie dei mezzi scrittori e dei mezzi poeti. I quali non verranno mai uccisi da una falsa coscienza. Se è vero com’è vero ciò che scrisse lo studioso Ian Gibson sulla morte del poeta, dichiarando a suo parere che egli era stato ucciso innanzitutto da uno stato mentale. 

Qualche anno addietro, il 28 ottobre del 2007, anniversario della marcia su Roma, a San Pietro vennero beatificati 498 franchisti, come “martiri della Repubblica” responsabili di quello stato mentale. La chiesa vaticana in modo discreto esprimeva così il suo disappunto al governo Zapatero il quale stava per varare una legge sulla memoria che condannava il franchismo e la chiesa cattolica spagnola per i fatti della Guerra Civile. 

Appunto. Resta da dire che della tomba del poeta, inesistente, non mi dolgo. I veri poeti non dovrebbero mai avere tombe. Come l’acqua che ha semplici dimore, di ciliegio e pietra.

Tanto si doveva a Garcia Lorca.


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