giovedì 31 ottobre 2013

Il mondo è trans





Una critica contaminata e spuria non può che domandarsi dalla soglia di quale mondo parliamo. In questo senso assume una sua voce (mi sono sempre chiesta che timbro vocalico abbia quel superIo grammaticale che pone domande inopportune atte a riconoscere i vari complementi, tipo: il moto a luogo è il complemento che risponde alla domanda “ verso chi, verso che luogo?”, chi porrebbe una domanda così insensata ad un mondo parlante?). 

Questa voce parla da un mondo che decade. Il mare a cui si riferiva Baudelaire nel suo fulminante incipit alla poesia L’uomo e il mare, “ Homme libre, toujours tu chériras la mer!”, è il mare così come lo conosciamo oggi? La poltiglia avvelenata da tonnellate di plastica di cui parla il lirico documentario The broken ocean o il liquame velenoso su cui si interroga James Ivory nel cupo Trashed (ambedue a proposito sconosciuti dalle nostre parti…)? Le balene al largo delle coste del Giappone, uccise o ammalate causa le acque radioattive degli sversamenti della centrale di Fukushima, sono lontanamente parenti della mostruosa Moby Dick? 

Forse sarebbe più onesto ammettere che ogni linguaggio, quindi ogni prodotto letterario, ha un “ centro deittico”, uno spazio e un tempo collocati fuori dalla parola scritta o pronunciata, senza il quale, però, non capiremmo nulla di ciò che stiamo dicendo. E nulla della nostra condizione umana. Un po’ come quando ci viene recapitata una frase riportata da una sconosciuta lettera: ”Due settimane prima ero già stato qui” (Due settimane prima rispetto a cosa? Qui rispetto a quale luogo?). 

Così necessario questo centro, così essenziale il raggio di questa ruota (La circonferenza è la mia occupazione diceva Emily Dickinson…) al punto che non possiamo immaginare un testo senza un contesto. Naturalmente il centro deittico è cosa viva tranne che per chi fa accademia. Vive, respira, si trasforma. E’ fuggente, errante, destabilizzante, perennemente in transito. Anzi, parafrasando Porpora Marcasciano, presidente del MIT (Movimento Identità Transessuale) è il mondo stesso ad essere trans, a differenza di quanti pensano sia ben definito e ghettizzato tra categorie fisse, prima delle quali la categoria del maschile e del femminile. 

Scrive Porpora: (…) L’esperienza trans come ridefinizione di sé è precarietà in quanto spostamento semantico continuo: exodus, riposizionamento, trasformazione, significati e significanti quindi del “transito”, il moto “da-a”, da qualcosa di socialmente determinato a qualcos’altro di indeterminato. Rispetto al diverso valore che possono avere i termini di determinatezza e indeterminatezza opera una sana sospensione di giudizio, sottolineando però la valenza positiva del secondo termine che in quanto indeterminato è più aperto alla ricerca e alla conoscenza. L’esperienza trans in quanto tale è in evoluzione, come dice la parola stessa, è movimento di soggetti e contemporaneamente di culture.(…) L’exodus trans, in quanto ricerca, è ricchezza, in antitesi con quanti/e, anche in ambito libertario, immaginano e collocano l’esistenza, compresa quella trans, tra due punti: uno di partenza e uno di arrivo, che dovrebbero coincidere più o meno con partenza dal maschile e arrivo al femminile o viceversa. L’assillante logica di determinare, definire sesso, genere, sessualità è propria di una cultura eterosessuale/omoculturale

Il tutto in un bel saggio scaricabile da internet, dal titolo Oltre l’identità: transito e molteplicità nell’era precaria, il cui sotto paragrafo recita “Transiti tra generi, sessi e paesi. In fuga dal pregiudizio e dalla povertà: transessuali alla ricerca di se stesse”.

Questo gioco di riposizionamento continuo delle parole e dei significati è forse il compito più alto di ogni letteratura e di ogni critica letteraria. Non si può ignorare quanto le nostre parole viaggino perché viaggia il mondo che le trasporta, così come la barca per suo mestiere e vocazione è lentamente consumata dall’acqua del fiume. Se il mondo è trans allora anche il nostro sguardo dovrebbe cambiare. Altrimenti, ci sfuggirebbe l’essenziale. Vedremo solo un fenomeno da baraccone in ogni corpo che muta. Porpora Marcasciano scrive ancora queste bellissime, rivoluzionarie parole: “l’esperienza trans decostruisce corpi, identità, culture: è l’elemento acqua che lambisce e tocca l’elemento terra, è il mare che nel suo moto perpetuo trasforma la linea di terra”

Vi aspetto questo giovedì, 7 novembre alle ore 20,30 in Sala Arcobaleno, presso la Chiesa Valdese di Milano, per parlare con Antonia Monopoli, responsabile Sportello Trans ALA”, sul tema “I nuovi volti della famiglia, la realtà delle famiglie trans gender”. Antonia oltre a militare e lottare attivamente contro la discriminazione e la transfobia esponendosi sempre in prima linea ha contribuito alla realizzazione di tre documentari sulla realtà trans: “Crisalidi 5 racconti di vita trans” di Federico Tinelli, “O sei uomo o sei donna.. chiaro?!” di Enrico Vanni, “Antonia” di Dimitri Singenberger. Ha poi contribuito alla realizzazione dei libri di Monica Romano “Diurna”, è attrice per la compagnia teatrale sull’identità di genere e protagonista del progetto-documentario “Le cose cambiano” sostenuto ed edito dal Corriere della Sera.

Perché se le cose cambiano, anche gli occhi dovrebbero cambiare.



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