domenica 22 settembre 2013

Di che amore siamo fatti?




Domani 23 settembre alle ore 18.00, alla libreria Claudiana di Milano di via Sforza, avrò il piacere di presentare, insieme all'amica Simona Menghini, una delle responsabili della campagna Otto per mille della Chiesa valdese,  il libro di Laura Tappatà, a suo tempo docente all’Università Cattolica di Brescia, dal titolo “ Troppo amore”.

Il libro ha il merito di presentarsi come un manuale di facile lettura su uno dei temi più attuali del momento: la dipendenza affettiva nelle donne. 

Geometricamente, questa tragedia dell’animo femminile potrebbe rappresentarsi come una spirale dai circoli sempre più ampi destinata a ripetere se stessa all’infinito, una malattia del tempo fermo sempre nello stesso istante, il cui copione non smette mai di trovare attrici. Nella sua forma più estrema il dramma ripetuto in ogni età, in ogni nuova e antica relazione, apparentemente diverso nei visi che si incontrano ma sostanzialmente sempre identico, è presto delineato: una donna si lega in relazione con un uomo (o con un’altra donna, esempio non secondario), che potremmo chiamare il codipendente, figura problematica in grado di scatenare in lei la sindrome da redenzione. 

Di solito il partner vive altre forme di dipendenza come l’alcolismo o la droga, ha subito violenze e abusi sessuali, soffre di disturbi nella sfera emotiva in grado di risvegliare nella donna il mai sopito ricordo di analoghi drammi da lei sofferti in età adulta o da bambina. Tanto basta per scatenare in lei l’impulso della redentrice, la voglia insaziabile di cambiare e aiutare il suo partner. Il dramma si scatena come una sorta di contratto tacito e sottoscritto: la dipendente si impegna a vivere in funzione del partner, disposta ad ogni sacrificio per lui in una corsa che non conosce limite, che implica la rinuncia alla propria vita personale, ai propri interessi, al lavoro e persino alla salute, il codipendente si impegnerà a sabotare tutti i suoi sforzi per salvarlo. 

A questo punto è necessario una pausa. Linguistica, potrei dire, una riflessione semantica su cui sia Robin Norwood che Laura Tappatà giocano molta parte della loro analisi. Ci sono parole sbagliate che abbiamo usato in modo sbagliato. Come amore, sacrificio o pietà. L’idea che l’amore sia sacrificio, da parte delle donne almeno, ben lontano dall’essere considerata una degenerazione morale e psichica è stata esaltata dall’arte e dalla religione. Un’idea malata per una società malata. Si potrebbero citare a dozzine i libri e le opere artistiche che hanno osannato questo scriteriato altare in cui si sono immolate vergini e spose. Poche invece le opere che lo hanno dipinto crudamente per l’inferno che realmente comporta, da “Il Portiere di notte” a “La donna che sbatteva le porte”. 

Rimuovere queste incrostazioni dalle parole diventa dunque necessario. L’analisi psicologica diventa geologia linguistica sia per le pazienti che per le terapeute o le studiose. Un’operazione necessaria verso il recupero del proprio equilibrio emotivo. In questo nuovo panorama anche il concetto di “pietà” subisce uno slittamento. Difficile dire nella dipendenza affettiva chi sia la vittima e chi il carnefice. Certo, di solito la donna rappresenta il lato più debole della dipendenza, colei che subisce gli abusi, la violenza verbale, economica e fisica, verso cui lentamente e in modo inesorabile scivola la relazione. 

Tuttavia, la Robin Norwood dice qualcosa di più che potrebbe suonare crudele alla coscienza di molte donne, crudele come forse dovrebbe essere l’autentica pietà: se le donne si lasciano trascinare in queste forme di morbosa patologia è anche perché segretamente consumate dall’idea di essere Dio, anche perché educate da millenni di storia all’impulso profano di salvare e cambiare gli altri rinunciando al loro progetto umano e femminile. 

Tuttavia, nessuno che voglia cambiare l’altro ama veramente. Questa è l’essenza delle riflessioni delle due autrici. E questa se si osserva bene dovrebbe essere l’essenza di ogni religione. Il discorso, ovviamente, non è tra credenti o non credenti. Il discorso riguarda l’idea che la bambina o la donna adulta hanno di se stesse. Nessuna terapia di recupero può funzionare senza l’accettazione da parte delle donne, laica o religiosa, dei propri limiti. Non c’è salvezza senza questa rinuncia all’idolatria della propria potenza salvifica, che può riassumersi in estrema sintesi nell’idea che non possiamo salvare nessuno che non voglia essere salvato, non possiamo cambiare altri se non noi stessi.


Il merito del libro di Laura Tappatà, che avrò dunque il piacere di presentare anche il 16 ottobre all’Alveare di Milano, è dunque a mio parere l’avere esteso l’analisi della Norwood ad una dimensione più ampia che include l’aspetto sociologico. E’ questa nostra epoca, l’epoca delle “passioni tristi “ secondo una definizione di Spinoza che l’autrice ama ricordare. Un’epoca in cui il senso smisurato dell’io e il culto dell’utile ci hanno privato di “ competenza personale”. Quel bagaglio di valori fondamentale per ogni essere umano che porta alla consapevole accettazione della propria storia emotiva, che include la conoscenza dell’amore di cui siamo fatti. 

E’ necessario infatti comprendere il tipo di relazione affettiva, l’imprinting che ci è stato dato dalle nostre famiglie, sano o squilibrato, sicuramente non sempre perfetto, che è necessario correggere se si vuole una relazione matura, basata sull’accettazione dei propri e altrui limiti. Tutte, infatti, nella forma più estrema o più lieve possiamo soffrire di dipendenza affettiva. Non ci sono classi sociali né tipologie di donne esenti da questa forma di patologia che è assolutamente trasversale. 

Senza la competenza personale, siamo destinate a ripercorrere non una ma cento volte la stessa storia di abbandoni e tristezze che abbiamo conosciuto nell’infanzia, cristallizzate come statue di sale, ferme nello stesso fotogramma, prigioniere dello stesso copione in cui il tempo trascorre falsamente, si finge tempo, confonde il prima con il dopo e come una goccia d’acqua, in modo ossessivo, è in grado di far impazzire le nostre case.   


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