lunedì 9 settembre 2013

Le braghe italiane

Mi chiedo se qualcuno ha mai scritto una poesia per Daniele da Volterra (un po’ come fecero Pasolini e il poeta Browning dedicando versi ad illustri pittori) l’apprendista di Michelangelo, chiamato a dipingere drappi, panneggi e perizomi detti "braghe" per ricoprire le figure “ignude” della Cappella Sistina, che gli valsero il soprannome di "Braghettone". 

Il braghettonismo è una grande tentazione morale, una versione nostrana del puritanesimo inglese che portò alla chiusura dei teatri a suo tempo, nell’epoca di Shakespeare; una sua fantasiosa interpretazione in terra dalla doppia morale e dal viscerale bigottismo che si accompagnano alla sessualità com’è tipico in Italia. 

Se il puritanesimo è tragico, però, il braghettonismo è comico. Non consiste in una pretesa di purezza e coerenza estreme tra la vita privata e la pubblica, tensione che ha prodotto capolavori come La lettera Scarlatta di Hawthorne, no, perché il braghettonismo si limita nel senso letterale e metaforico a stendere un velo sulla questione sessualità. In una sorta di rito magico per cui scomparso dalla vista il tema, scomparirebbe anche l’intera sua problematica esistenza. 

Tecnica molto usata nelle nostre scuole, per non dire ricorrente, il braghettonismo non pretende purezze e santità, limitandosi a dichiarare in pubblico una cosa lasciando che poi se ne faccia un’altra in privato, purché non si dia mai scandalo. 

E’ forse il braghettonismo, più che il puritanesimo, ad avere circondato di silenzio la pittrice e scultrice Judy Chicago non ancora conosciuta nelle nostre latitudini opache, costringendo nell’oblio la sua opera The dinner party, in installazione permanente al Brooklyn Museum di New York. 




Il lavoro fu realizzato tra il 1974 e il 1979, con lo scopo esplicito di costruire una genealogia forte al femminile. Si tratta di un banchetto cerimoniale, installato su un tavolo triangolare a forma equilatera, per un totale di 39 posti a sedere, 13 per ogni lato, realizzato con l’aiuto di più di 400 volontarie tra ceramiste, pittrici, scultrici e ricamatrici. 




Opera sociale, dunque, da contrapporsi alle false opere individuali di cui è piena la storia delle arti occidentali.

Ognuno dei posti è simbolicamente dedicato a una donna famosa nella storia ma anche nella mitologia, dalla dea mesopotamica Ishtar a poetesse come Emily Dickinson a personaggi storici come Eleonora d’Aquitania. Il tavolo è adornato da piatti, calici d’oro, posate, tovaglioli ricamati e arazzi d’ogni tipo. 



La pietra dello scandalo, che ne fa un’artista in certi ambienti solo tollerata, sta nell’avere rappresentato nei piatti decorati in porcellana cinese le vagine delle donne famose, cosa che procurò ai suoi tempi un’accusa di pornografia all’opera. I piatti hanno forme di farfalle, vulve, fiori esotici e piante vegetali.


Il nome di altre 999 donne famose sono iscritti in oro nel pavimento di piastrelle bianco su cui poggia il tavolo, battezzato dalla stessa artista con il nome di “ il pavimento dell’eredità”. 




Il triangolo è il simbolo dell’uguaglianza e della vagina, mentre il numero 13 allude con ogni probabilità all’ultima cena di Gesù. Nell’intento dell’artista, si tratta di costruire una genealogia al femminile che passi dalla His-story, dalla storia di lui, alla Her-story, la storia di lei. 




Da vedere, insomma, percorrendo certe terre, oltre il braghettonismo, illuminate da una sorta di tolleranza che consente di comprendere come ogni essere umano, per sua natura, sarà sempre una pietra di scandalo. 


Nessun commento: